Tesi di Laurea
La fotogrammetria digitale multi-temporale d'archivio per l'analisi delle variazioni planimetriche costiere

IL DELTA DEL PO.



L’area deltizia è una delle più importanti aree “naturali” presenti nel nostro Paese, ma più in dettaglio si dovrebbe affermare che essa costituisce anche il fulgido esempio di come la natura possa essere “accomodata” dall’intervento umano. Si dovrebbe, allora, affermare che il sistema deltizio rappresenta una natura costruita e modellata alle necessità d’uso antropiche del territorio; ma non sempre questo ha dato i frutti sperati. Oggi il Po alimenta un delta che si protende a mare per 25Km, su un arco meridiano di circa 90Km, con una superficie complessiva di oltre 400Km^2 (Fig. 3.11). Nel delta il fiume si fraziona in cinque rami principali che, partendo da settentrione, sono: Po di Maistra, Po di Pila, Po di Tolle, Po di Gnocca e Po di Goro. Si può stimare che attraverso questi rami, oggi siano portati a mare circa 4,7 milioni di tonnellate annue di sedimenti che vanno ad alimentare le spiagge ed i fondali antistanti. Ma questo apporto solido è pari ad un terzo, rispetto a quello della prima metà del ‘900, che già aveva dimostrato segni di diminuzione rispetto ai precedenti periodi storici. Basti pensare che nell’arco di tempo che va dal VI sec. a.C. (periodo Etrusco) fino al 1600, la velocità media di avanzamento della linea di costa è stimata in 450m ogni secolo. A partire dal 1600 la velocità di avanzamento della riva aumenta di circa 20 volte rispetto al periodo precedente, difatti da quella data fino agli inizi del secolo breve (1914-1991), si può stimare una progressione di 7Km al secolo. Questa importante differenza è stata spiegata (Carbognin, 2000) attraverso le variazioni climatiche piuttosto che attraverso l’intervento antropico. Alla fine del 19° secolo Bruckner (1890) pubblicò lo studio sulle fluttuazioni climatiche in cui ipotizzava il succedersi di periodi freddi/umidi e caldi/secchi di alcune centinaia di anni. All’interno di periodi a grande scala, esistono i cicli di Bruckner, una serie di fluttuazioni cicliche di breve periodo, di circa 10-35 anni, di caldo/secco e freddo/umido.

Come si diceva, il ridotto apporto solido, ha determinato negli anni ’50 una generale e preoccupante crisi regressiva dei litorali, con la sommersione di ampie zone costiere. In base alla classificazione triangolare fondata essenzialmente sui rapporti tra fattori dinamici (apporti fluviali, marea e moto ondoso), l’assetto morfologico dell’attuale delta del Po è dunque rappresentativo di un regime dominato dalle onde, mentre in funzione della sua forma (classificazione morfologica) è assimilabile ad un delta lobato e, infine, sulla base della dinamica sedimentaria (progradazione degli apparati) il delta risulta passivo o distruttivo, essendo la sua forma determinata e modellata dai processi marini. L’evoluzione del territorio del delta è stata, dunque, determinata dalla successione e sovrapposizione di eventi ambientali complessi ai quali va sommata, specie negli ultimi secoli, l’azione modificatrice dell’uomo.

PADIMETRO.

1Basti far visita alla città di Ferrara, non solo per essere stata il principale porto fluviale del Po sino al Rinascimento, ma soprattutto per il suo padimetro, posto in Piazza Martiri della Libertà, sulla colonna d’angolo del Palazzo del Comune, che reca incisi, sulla pietra del Biancone di Verona, tutti i livelli della acque del fiume dal 1.705 al 1.951, per un totale di 28 marche. Quindi per 28 volte il fiume ha raggiunto la città nell’arco temporale compreso in due secoli e mezzo.

Fig. 3.11 – Composizione formata da un mosaico di ortofoto (2.012) con la rispettiva linea di riva.Fig. 3.11 – Composizione formata da un mosaico di ortofoto (2.012) con la rispettiva linea di riva.

Il Po è da sempre una zona interessata da una certa subsidenza naturale, caratteristica peculiare delle aree di recente sedimentazione, ove sono presenti processi di compattazione da carico geostatico e riduzione organica. Le misurazioni altimetriche effettuate dal 1900 al 1957 (Salvoni, 1957) stimavano una subsidenza media naturale intorno ai 5 mm/anno, a cui va aggiunto un eustatismo positivo di 1,13 mm/anno nel periodo 1896-1993 (Carbognin e Taroni, 1993). Ci sarebbe, inoltre, una componente di subsidenza tettonica, difatti la piana adriatica è in fase di subduzione al di sotto della placca appenninica, recenti studi, hanno dimostrato, con l’uso di modelli viscoelastici, che l’entità della subsidenza portata da questi fenomeno non superano gli 0,5 mm/anno, un effetto rilevabile solo analiticamente. Queste componenti, presenti da molto tempo, hanno comunque consentito lo sviluppo deltizio, con la comparsa di nuove terre, ed una sensibile progressione verso mare.

Questo fino agli anni ’30 del secolo scorso, quando un sondaggio compiuto in località Codigoro, nel 1934, allo scopo di trovare acqua potabile, fu invece rinvenuto metano: il preludio al disastro. Allora il settore energetico non era ancora stato nazionalizzato, e quindi una miriade di piccole imprese preso d’assalto questo lembo di terra; il “Far West” all’italiana. Il problema del metano polesano era la sua scarsa qualità, la sua estrazione richiedeva l’emungimento di grandi quantità di acque salate metaniere dagli antichi strati del quaternario, ed i pozzi non duravano più di dieci anni. Ma la tecnologia richiesta era alla portata dei privati, che non potevano affrontare gli investimenti necessari per estrarre il gas “secco”, è per questa ragione che il metano del Polesine non incontrò mai l’interesse dell’Agip (tranne negli ultimi anni, con la nazionalizzazione). Oltre ad un danno ambientale per lo sversamento dell’acqua salata nei canali di bonifica, ben più gravi furono gli effetti portati dall’abbassamento dei suoli; i grandi volumi d’acqua estratti portarono ad un abbassamento di oltre 40 metri del livello piezometrico. Gli strati sedimentari che un tempo erano interessati dalla spinta idrostatica di falda, si trovarono nella nuova condizione di secca, ciò permise una loro lenta, ma inesorabile, compattazione. I primi effetti furono le inversioni delle pendenze, con una sempre più difficile opera di bonifica, l’ingressione di acqua salina all’interno delle valli da pesca, ma soprattutto la diminuzione o scomparsa dei franchi arginali. Le alluvioni degli anni ’50 portarono a continue rotture arginali, molte per semplice sormonto, le zone allagate non potevano che essere liberate dalle acque se non dopo settimane di sollevamento meccanico. Molte zone, ad allora, di recente bonifica furono riprese dalle acque del mare. Dopo varie resistenze, proteste ed inchieste, l’ultimo pozzo fu chiuso nel 1965 (Centrale di Pomposa, FE). 

Negli anni che vanno dal 1950 al 1957 la velocità di abbassamento del suolo nel cuore del delta ha raggiunto i 30cm annui. L’estrazione metanifera è mediamente costata tre metri di quota ai suoli deltizi, oltre ai danni, succintamente citati, vi è anche un effetto a più lungo termine: l’arresto dell’evoluzione positiva delle opere di bonifica atte all’acquisizione di nuove terre. Il nuovo equilibrio, difficilmente raggiunto (Fig. 3.12), anche grazie a poderose e costose opere di difesa, può essere ben rappresentato dalla fotogrammetria d’archivio, sia nella diretta interpretazione fotografica (Fig. 3.13), sia attraverso gli andamenti costieri. 

Fig. 3.12 – DSM dell’area deltizia. I dati provengono dal progetto SRTM (Space Shuttle Endeavour, 2000). L’elaborazione ha visto l’uso del software Global Mapper per l’unione di due quadri del modello, ed il suo successivo ritaglio. Mentre per l’interpolazione e la visualizzazione del modello è stato usato Surfer 10. Le parti in rosso corrispondono all’area ove insiste la centrale Enel di Porto Tolle, e all’area boschiva della Mesola. Si noti, nel modello tridimensionale, l’andamento dei rami pensili del fiume Po attraversanti il sistema deltizio.

Fig. 3.13 – Due ortofoto a confronto della medesima zona, Bonelli Levante, nella parte meridionale del delta (ArcMap 10.1).

In Fig. 3.13 ben si evidenziano gli effetti deleteri della subsidenza antropica, con la completa sommersione di terre bonificate, ora ridotte ad ambiente barenico. Le immagini riprendono la medesima zona, intesa come limiti geografici, nell’ortofoto del 2012 è stata sovrapposta la linea di riva del 1955; oltre alla perdita della gran parte della superficie emersa, si rileva, anche un sostanziale arretramento del fronte deltizio. Il caso appena esposto fa comprendere le potenzialità della fotogrammetria d’archivio, sia intesa come mera analisi visiva, sia assieme ad entità vettoriali al tratto georiferite (le linee di riva).  

barene.

Le barene sono le morfologie più caratteristiche degli ambienti lagunari. Si tratta di rialzi morfologici tabulari, costituiti prevalentemente da sedimenti limo-argillosi, che solo in casi eccezionali vengono sommersi dalle acque. La superficie delle barene presenta una tipografia irregolare e al loro interno possono essere presenti ristagni d’acqua chiari, il cui ricambio avviene attraverso modesti e tortuosi canali, ghebi, soprattutto durante le alte maree.

Fig. 3.14 – Entità morfologiche presenti in un sistema deltizio (Laguna di Barbamarco – Ortofoto 2012).