Tesi di Laurea
La fotogrammetria digitale multi-temporale d'archivio per l'analisi delle variazioni planimetriche costiere

conclusioni.



Il percorso di studio e lavoro si è snodato attraverso vari argomenti tematici, che nel loro insieme sono volti a costituire quella che potremmo definire la topografia nell’era digitale. A partire dall’ambiente operativo nel quale si svolgono sia le procedure di acquisizione del dato primario, sia le modalità e le tecniche che ne consentano la sua organizzazione metodologica. Nel passato spesso le possibilità di analisi erano codificate dai limiti dei mezzi utilizzati, ora il dispositivo digitale è un mezzo “illimitato”. Ad esempio se si esegue una campagna di rilevo con stazione totale, e fatte salve le abilità dell’operatore, il risultato che ci attendiamo, in termini di precisione e accuratezza del dato, sono legate alle capacità del mezzo. Quindi si opera in un ambito conosciuto e gestibile, il mezzo digitale ha sì facilitato il lavoro del topografo, ma ha anche introdotto nuove problematiche: la maggior libertà di scelta del modus, si scontra spesso con la scarsa conoscenza delle sue prestazioni. Ma vi è anche un fattore, che spesso ho incontrato nella mia seppur breve esperienza personale, la fiducia spesso affidata al metodo digitale è quasi data a prescindere, cioè cieca. Dato che l’informazione digitale spesso ha “smaterializzato” lo strumento per ottenerla, è come se questo non fosse più compreso nella catena di formazione del dato. Ancora una volta, ed è un bene, i metodi che rispondono ad una determinata sequenza codificata, sia dalla tradizione operativa, sia dall’uso di programmi pensati specificatamente all’uopo, sono in grado di dare risposte coerenti alla precisione attesa. È questo il caso di Socet Set, programma di restituzione fotogrammetrica che ha dimostrato di tradurre in ambiente digitale, ciò che già si faceva, con buoni risultati, in ambito di restituzione analitica, ma al contempo portando con se tutti i vantaggi dell’esperienza digitale.

Oltre ai programmi di produzione dei prodotti fotogrammetrici, vi sono i GIS, il cui ambiente d’applicazione è l’organizzazione e la visualizzazione del dato geografico/cartografico, se ne sono viste le principali funzioni; ma soprattutto, i passi da seguire nell’implementazione di un nuovo geodatabase, comprendente sia nuovi dati, sai dati provenienti da altre aree di lavoro. Faccenda non sempre di facile soluzione, ma grazie all’impiego di altri software, come Raster Design, è stato possibile ottenere il risultato cercato, che si è rilevato coerente con le tolleranze richieste. Oltre all’inserimento di dati preesistenti si è analizzata la consistenza statistica di nuovi prodotti radiometrici: si è dimostrato come la precisione sia legata al loro GSD, ma anche forse alla conoscenza del metodo, difatti il primo volo eseguito in modo completamente digitale (2.007) dimostra una risposta inferiore alle attese.

La crescita di grandi aziende, e la diponibilità di mezzi computazionali fino a pochi anni fa appannaggio dei centri di ricerca, ha consentito la comparsa di nuove applicazioni software innovative, tra queste vi è certamente Google Earth, che tutti noi conosciamo. Come si è già ribadito, esso è un GIS, già completo di un vastissimo database comprendente le foto satellitari di tutto il globo, mosaicate su di un modello poligonale della terra. Quindi mentre il mezzo digitale spesso viene ancora usato in sostituzione a metodi del passato, ora diviene esso stesso portatore di nuovi contenuti. Il tecnico, in quest’ottica, assume un ruolo sempre maggiormente passivo nel processo di produzione dell’informazione cartografica, il che potrebbe anche non dispiacere, ma si deve fare attenzione ai possibili rischi della perdita del “controllo sul metodo”. Si può ben affermare che si tratti di un confronto nei termini più classici, tra il nuovo che avanza, non sempre con passo certo, ed il “vecchio”, che ancor oggi presenta la certezza del metodo, spesso mutuato dal passato e, consolidato nel solco della tradizione della tecnica. Il mio ragionamento non vuole essere oscurantista verso le nuove possibilità, ma il loro uso deve essere critico, difatti nell’ambito del presente lavoro si è dimostrato come su tre esperienze di intervento, due fossero accettabili nelle precisioni ricavate dall’uso di Google Earth, al contrario della terza.

I limiti riguardano il suo uso come mezzo autonomo, dato che non fornisce le opportune sicurezze operative, che si traducono in una scarsa precisione del dato. Tali problemi sono dovuti sia alla presenza di errori, molto probabilmente grossolani, sia nella georeferenziazione dei vari mosaici satellitari, sia a limiti più strettamente tecnici. Come si è visto nel confronto tra il DEM, ricavato dalla fotogrammetria, ed il corrispondente (SRTM), utilizzato come modello poligonale in Google Earth: anche se fosse possibile usare un DEM con passo griglia più fitto, ciò andrebbe a ripercuotersi negativamente sulle prestazioni complessive del programma. I dati che si sono ottenuti nel confronto tra i due DEM mi hanno sorpreso, eppure, le deduzioni ricavate per via analitica sono state validate da una veloce analisi informale delle quote ricavate dai punti d’appoggio del rilievo GPS utilizzato per il volo aereo-fotogrammetrico del 2003 di Le Castella. Quindi la parte altimetrica fornita dal GIS della Google risente di limiti ancor maggiori rispetto alla parte piana della rappresentazione, se ne consiglia un uso limitato alle sole aree pianeggianti. È certamente necessaria una presa di coscienza dei limiti offerti dal mezzo, evidentemente pensato e rivolto ad un uso non professionale, il cui impiego non può svolgersi in autonomia, ma vi deve essere la presenza di altre fonti di comprovata affidabilità. Ed è ciò che si è fatto nel tracciamento della linea di riva della Laguna Vallona nel Delta del Po, il dato vettoriale ottenuto può essere ancora utilizzato, ma dopo un’attenta correlazione statistica. Sempre se questa possa essere portata a termine in modo proficuo, infatti l’ambito di studio si deve estendere all’interno di medesime condizioni di shift, altrimenti si deve dividere l’analisi in sotto-aree.

Sono certo che nel futuro Google Earth non possa che migliorare, forse anche nelle precisioni offerte, soprattutto se viene accettata la petizione presentata nel Maggio di quest’anno (2014), rivolta alla rimozione dell’annoso limite dei 50cm come GSD minimo utilizzabile nella riproduzione di immagini satellitari destinate ad uso civile. Si ricorda che Google è un’azienda statunitense, e quindi è obbligata a rispettare le norme di quel paese, anche se il suo GIS è presente in tutti i PC del mondo. Una piccola nota di demerito la rivolgo anche ad ArcMap, GIS dalle indubbie qualità, ma che qualche volta mostra poca attenzione ai topografi, intesi nel senso più stretto. Ad esempio nell’estrazione delle coordinate piane, si è dimostrato alquanto pedissequo e farraginoso, tanto che è stato più semplice cercare, e trovare, una via alternativa.