Tesi di Laurea
La fotogrammetria digitale multi-temporale d'archivio per l'analisi delle variazioni planimetriche costiere

La piattaforma software: ArcGIS.



ArcGIS è un contenitore di software tra loro differenti in ragione del tipo di applicazione per cui sono stati sviluppati. Si compone di tre ambienti operativi che a loro volta includono un insieme di applicazioni specifiche: GIS Desktop, Server GIS e GIS per sviluppatori.

1) GIS Desktop → è un’applicazione per la produzione cartografica e l’analisi spaziale. 
2) Server GIS → è una piattaforma online per condividere le informazioni geografiche, per accedere a banche dati e per usufruire di numerose applicazioni di gestione, analisi e visualizzazione dei dati geografici. 
3) GIS per sviluppatori → è uno strumento di lavoro per utenti esperti in cui è possibile personalizzare le applicazioni e crearne di nuove attraverso l’uso di diversi linguaggi di programmazione. 

È innegabile che chi si avvicina per la prima volta al nuovo ambiente di lavoro, lo debba fare iniziando da ArcGIS Desktop. Questo programma è organizzato in due ambienti di lavoro: ArcCatalog, per la gestione e l’archiviazione dei file cartografici e ArcMap, per la visualizzazione e l’analisi dei dati geografici, ed usato nel presente studio. ArcMap consente di realizzare mappe e per esplorare, consultare e analizzare dati geografici. Il programma archivia e gestisce i progetti cartografici in file denominati documenti di mappa, in cui sono salvate sia le operazioni eseguite nella sezione di lavoro, sia i layers cartografici e gli elementi di corredo della mappa, creati con gli strumenti messi a disposizione dal programma, od importati da fonti esterne. L’interfaccia di ArcMap (Fig. 5.2) si presenta con un riquadro per l’organizzazione e la gestione dei layers cartografici, detto Table Of Contents (TOC), ed uno per la visualizzazione delle mappe, mentre nella parte di destra abbiamo l’area riservata ai contenuti del catalogo, alla tabella degli shapefile, e alla creazione di nuove entità geometriche.  

Nell’apertura di un nuovo progetto, il programma richiede la “connessione” ad una nuova cartella, al cui interno sarà memorizzato il geodatabase del lavoro. I contenuti presenti all’interno della cartella connessa, e preventivamente riconosciuti come utilizzabili da ArcMap, vengono resi disponibili nel catalogo, e quindi importabili nella TOC, come nuovi livelli cartografici. Quindi certamente la tabella dei contenuti o TOC è l’ambiente operativo di ArcMap, dato che in essa si svolgono le principali funzioni per l’organizzazione, l’esplorazione, l’analisi e la rappresentazione dei dati geografici. I risultati delle operazioni eseguite nella TOC sono visualizzati nel riquadro di visualizzazione. In breve la TOC è l’ambiente di input di ArcMap, mentre il riquadro di visualizzazione è quello di output.

Fig. 5.2 – Elementi principali dell’interfaccia di ArcMap; si noti in basso a sinistra i pulsanti che consentono di passare dalla modalità “Data View”, di visione libera, a “Layout View” ove e possibile applicare delle formattazioni ed impaginazioni standard per la stampa [Le Castella, ortofoto 1990, linee di riva].

In modo automatico viene inserito nella TOC, un contenitore di layers (Data Frame), il quale deve essere correttamente impostato sia in termini di unità metriche utilizzate, sia nel sistema di riferimento adottato, ed opportunamente denominato (Fig. 5.3). Il riferimento cartografico dovrà essere coerente con i datum usati da tutti quelli che saranno i nuovi layers, siano essi creati direttamente, oppure importati; è pur vero che il programma offre la possibilità di una conversione al volo, ma vi è il pericolo di perdere di vista il percorso logico, con possibili errori. 

ArcMap può leggere innumerevoli formati esterni, tra cui i noti .dxf/.dwg, che possono essere generati sia dalle consuete applicazioni della Autodesk, sia da altri GIS, che usano questo formato vettoriale per l’interscambio. Uno degli aspetti più interessanti di ArcMap è la gestione della riproduzione cartografica, che viene considerata in tutti i suoi aspetti. Come le annotazioni, che possono essere legate, nella loro dimensione, ad una particolare scala di riferimento, cosicché non diventino troppo “ingombranti” a bassi zoom. Le stesse possono essere differenziate, sia nel tipo di carattere che nell’aspetto, e poste a diretta dipendenza dal layer di riferimento, che ne consenta l’attivazione o la disattivazione dalla vista. Aspetto non trascurabile è la facoltà di rendere dipendente la visualizzazione di un dato layer, da un dato ambito di scala, in altri termini, per tutti quegli elementi che divengono non più visibili alle scale molto piccole, possono essere disabilitati, in modo dinamico, nella loro rappresentazione. Ciò può essere utile anche per alleggerire la gestione del progetto da parte del sistema, andando a nascondere quelle informazioni non più accessibili.

Fig. 5.3 – Percorso logico di creazione, configurazione di un nuovo progetto, e gestione delle annotazioni.

Oltre alla mera importazione di dati già disponibili, il programma consente di creare nuove entità geometriche georiferite quali punti, linee, polilinee e poligoni (Fig. 5.4). In questo caso nel catalogo si dovrà creare un nuovo shapefile, che conterrà le nuove entità create, ed andrà posto alle dipendenze di un nuovo layer, o di uno già esistente. Lanciando l’editor possiamo modificare il nostro nuovo shapefile; gli strumenti messi a disposizione sono semplici, ma efficaci, nel definire nuove forme ed elementi. Per altro la struttura modulare di ArcMap consente di salvare il solo shapefile, in modo del tutto indipendente dal progetto complessivo, ciò permette una maggiore sicurezza nel lavoro. I vari elementi geometrici sono salvati secondo l’ordine di creazione, questo, come vedremmo, è molto utile nell’analisi per confronto, ove il mantenimento dell’ordine cronologico di formazione delle entità risulta fondamentale, per rendere celere il processo d’analisi.  

Fig. 5.4 – Una volta entrati in modalità editing [1] il programma visualizza all’utente i livelli cartografici, tra quelli attivi, che è possibile editare [2]. Al terzo passo si deve scegliere la tipologia geometrica che si andrà ad inserire [3]. La fase di estrazione al tratto di entità vettoriali è facilitata dalla presenza di strumenti derivati dall’ambito CAD, come gli snap ad oggetto, e le modalità di selezione, che possono essere facilitate dalla tabella dei contenuti del layer.

L’attività di restituzione al tratto si è concretizzata con l’individuazione del complesso delle linee di riva, costituenti il sistema deltizio, grazie alla fotointerpretazione condotta sul mosaico di ortofoto del 2012 (Fig. 5.5). L’attività di restituzione vettoriale al tratto, quindi eseguita manualmente dall’operatore, può richiede un certo tempo ed impegno, e la qualità del prodotto restituito spesso dipende dalla capacità del restitutore di individuare più punti possibili. In questo caso particolare, lo scrivente, si è avvalso di una utility gratuita (Gs Auto Click) che consente di automatizzare i click del mouse, molto utile in ambienti complessi, come il nostro, ove la variabilità della configurazione costale incide negativamente sulla qualità della restituzione. Lo shapefile generato da ArcMap può essere correttamente esportato nel formato vettoriale .dxf; a questo proposito si è posto attenzione al fatto di creare il più possibile polilinee chiuse, entità geometriche che facilitano il calcolo delle aree usando gli applicativi della Autodesk, ma anche l’esportabilità in altri software d’analisi, come Surfer.  

Fig. 5.5 – Il Delta del Po, linee di riva.